di Luigi Murolo
(Vasto, vico Aurelia fine anni Trenta) |
Fino al 1872 era denominato «Vico 3° S. Anna». Da quella data in poi, fino a oggi, «Vico Aurelia». Gli altri due, «Vico 1° S. Anna» e «Vico 2° S. Anna», sempre con gli stessi criteri, hanno assunto i toponimi, rispettivamente di «Vico de Santis» e «Vico Pachia». Dulcis in fundo, il «Largo S. Anna», avrebbe assunto il titolo di «Largo Lupacchino» e, in seguito, di «Largo Cellini». Una delimitazione toponomastica, insomma, che segnava i limiti insediativi della Cappella di S. Anna, gentilizia della famiglia Mattioli (nessuna relazione con il banchiere Raffaele Mattioli. Un quartiere “minore”, va detto, all’interno di quello maggiore di S. Maria in cui era compreso. Il mio vecchio amico Cicco Paolo Molino (alias “lo Scatenato”) – che ci ha lasciato qualche anno fa, ha tentato in tutti i modi di far tornare alla vita, un tempo animata nel modo in cui documenta la foto, non solo la “ruarèllǝ” in cui ha sempre vissuto, ma l’intera parte urbana. Con il suo “Circolo Castello” avrebbe voluto che i suoi concittadini prendessero consapevolezza del “Castellum Aymonis”, sito originario del Vasto altomedievale e snodo dello sviluppo successivo. Da tale punto di vista, penso che Paolo avrebbe avuto piacere nel vedere questa testimonianza iconografica degli anni Trenta.
Cosi come penso ce l’abbia l’altro amico Piero Camperchioli (detto “Furia”), qui tuttora abitante, nella cui dimora sono celati i resti della nascosta cappella dimenticata, dove, in quelle ‘profondità’, da giovane, ospitava le sessioni preparatorie di «Haborym», il gruppo rock che, negli anni Settanta, civettava con le riproposizioni degli Stones. Incredibile a dirsi! “Lo Scatenato” e “La Furia” erano la tempesta e l'impeto (ah! Il caro e vecchio “Sturm und Drang” romantico) che animavano un luogo, oggi, divenuto silenzio. Sì. Proprio lì. Dove l’anziana signora indifferente (segnavia dei bimbi seduti, delle comari e del vecchio, realmente curiosi, che scrutavano lo strano individuo con l’ancor più misterioso apparecchio che li osservava), mostrava un solo aspetto: quello del proprio straniamento di fronte alla modernità incombente. Quasi a dire all’intruso: sono qui, nello spazio della vita, compreso tra il selciato in basso e il cielo dei panni stesi, a testimoniare la meraviglia di un mondo fatto di quelle piccole cose di cui il vicolo ne costituisce la rappresentazione.
Mi piacerebbe titolare questa foto «Genius loci», lo «spirito del luogo». Che è poi, l’occhio dell’anima con cui un giovane-vecchio come me (mi si perdoni l’ossimoro) continua ancora a percorrere i «cammini abituali» della sua infanzia dorata.
… QUEL «VICO AURELIA» D’ALTRI TEMPI
Pubblicato da Mercurio Saraceni
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