«Seguitando il mio canto con quel suono»
Riflessi musicali nella Commedia
di Federica
Marrollo
Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovinezza, e a ciascuno che a quei tempi era ottimo cantore o sonatore fu amico e ebbe usanza; e assai cose da questo diletto tirato compose,
le quali di piacevole e maestrevole nota a questi cotali faceva rivestire”
L’immagine che ci tramanda Boccaccio nella Vita di Dante è di un Dante musicista e studioso di musica. Questa sua profonda conoscenza della musica la troviamo prima nelle sue opere minori quali la Vita Nova e Convivio e poi anche nell’opera maggiore della Commedia. Ed è proprio attraverso la musica che affronta l’argomento principale del poema, cioè l’Amore di Dio. I riferimenti musicali all’interno della Commedia dantesca sono numerosi e complessi. La costruzione musicale dell’opera segue in gran parte la classificazione boeziana, teoria diffusissima nel medioevo musicale. Secondo Boezio la produzione musicale è classificabile in tre livelli gerarchicamente organizzati e distinti, fondati sui principi di proporzione matematiche: istrumentalis, humana e mundana. La musica mundana è la musica realizzata dal cosmo, leggi armoniche che costruiscono la dimensione fisica e metafisica dei cieli. Il suono ineffabile prodotto dallo sfregamento delle sfere celesti diviene espressione della perfezione dell’armonia. La musica humana è il prodotto dell’equilibrio armonico interno tra l’anima e il corpo. Si tratta di una musica de interiore homine che aspira alla riproduzione dell’armonia celeste. La musica istrumentalis comprende ogni suono prodotto dagli strumenti musicali, è compresa anche la voce umana, strumento fornitoci dalla natura. La triplice concezione musicale struttura musicalmente le tre cantiche. Nell’Inferno la mancanza di ordine, quindi del tempo, vieta alla musica istrumentalis di realizzarsi. Simbolicamente tale impossibilità rispecchia lo stato di non armonia delle anime dannate. Il Purgatorio è permeato di musica humana, le anime penitenti a poco a poco si accordano, come se fossero degli strumenti musicali. Nel Paradiso i cori angelici diventano spesso inintelligibili al protagonista. Innanzi alla maestosità del caeli machina, la parola, come la conoscenza umana, è limitata ed inefficace. Nel regno della musica mundana, l’unica forma di espressione di questa musica inesprimibile è il silenzio.
Quivi sospiri, pianti e alti guai”
Nell’Inferno le leggi
della musica sono rovesciate. Il rumore e i suoni costituiscono l’anti-musica.
La sofferenza delle anime, le quali patiscono pene crudeli, risuona per il
regno del caos. Nelle grida laceranti dei peccatori s’intende il dolore e il
tormento, conseguenza che deriva dall’assenza della spiritualità e dell’ordine
e per questi motivi non può esistere musica vera e propria, la quale darebbe un
conforto, seppur minimo, ai dannati. Tuttavia, i principi fondamentali della
fisica acustica stabiliscono che un suono prodotto da un corpo che vibra genera
delle onde sonore regolari; al contrario quando le vibrazioni sono irregolari
si produce rumore, appare evidente, quindi, che nell’Inferno, luogo in cui
tutto è irregolare e disordinato vi siano rumori e non suoni. Nonostante
questo, nel regno delle tenebre è presente un episodio di musica
istrumentalis in cui Dante sente «sonare un alto corno», appartenente al
gigante Nembrot.
Seguitando il mio canto con quel suono”
Il Purgatorio è caratterizzato da una presenza costante della musicalità, poiché il canto ha un ruolo importantissimo nell’espiazione dei peccati. A differenza di ciò che accade nell’Inferno, dove il suono umano e il suono bestiale si contrastano, nel Purgatorio la salmodia delle anime purganti sovrasta ogni altro suono e la parola ha uno spazio subordinato. Tuttavia, è importante tener presente che in molti casi, l’intonazione della preghiera viene tenuta nell’incertezza, vi è un oscillare tra il cantare e il dire, oppure il canto che sfuma nel pianto, nel grido. I canti delle anime rinviano al loro peccato terreno, contribuiscono all’espiazione delle loro colpe; per tale motivo molti dei canti sono salmi o inni penitenziali o pasquali. Cantare rappresenta l’unico modo di manifestare le preghiere, i sentimenti ed il proprio credo con una intensa partecipazione emozionale che è ampliata dal coinvolgimento delle altre anime purganti. È il canto corale, insieme alle preghiere, alla condivisione della memoria e speranze, esprime come meglio non si potrebbe il vincolo che lega le anime tra loro: la carità. Il poeta riconosce, fra tutte le anime, quella di un suo amico musicista, e insieme a Virgilio e alle anime si lasciano ammaliare dal canto profano di Casella «Amor che ne la mente mi ragiona’/ cominciò elli allor sì dolcemente, / che la dolcezza ancor dentro mi suona» (Purg. II, vv. 112-114), dimenticandosi della loro vera priorità: la purificazione dal peccato. Le anime sono in accordo con l’equilibrio del cosmo, mentre cantano il salmo del vespro; ma appena esse smettono di cantare il salmo e incominciano ad ascoltare le dolci note di Casella, il loro equilibrio viene meno, per tale motivo le anime sono interrotte da un furioso Catone che li riporta sulla via della rettitudine.
Amor che move il sole e le altre stelle”
Nel Paradiso c’è uno scenario totalmente nuovo. Se nel Purgatorio il canto rimanda ai canti del repertorio sacro, la musica del Paradiso è strettamente connessa alla luce e al movimento. Alla salmodia del Purgatorio si contrappone la polifonia, anche se non mancano degli esempi di musica gregoriana. La polifonia si trasforma nel riflesso musicale della perfetta armonia; rappresenta la corrispondenza e la compiuta circolarità del canto. In questa nuova dimensione la parola umana si fa sentire sempre meno, la comunicazione avviene solo per permettere al lettore d’intendere. Beatrice e i santi leggono nella mente di Dante, il pellegrino deve lasciare che il suo intelletto e il suo spirito entrino in contatto con ciò che lo circonda. Viene meno anche la distinzione dei sensi, vista e udito si fondono sempre di più. Al Paradiso appartiene la musica del cosmo, «la novità del suono e ‘l grande lume/di lor cagion m’accesero un disio/mai non sentito di cotanto acume» (Par. I, 76-84). Nel loro movimento, le sfere producono armonia, tutti i movimenti sono ordinati dalla natura, la terra è la nona sfera e rimane immobile al centro dell’universo. Arrivato al cospetto della candida rosa, gli occhi di Dante subiscono un potenziamento visivo. L’Empireo è il regno che «pausa in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volontà è di più ausa» (Par. XXXII, 61-62). Il movimento che aumentava al passaggio di cielo in cielo, qui trabocca di pace assoluta. Dante non può accedere alla musica suprema, poiché egli è vivo, appartiene ancora al mondo mortale. Così, l’assenza di musica nell’Empireo non è l’affermarsi del silenzio, quanto piuttosto il giungere della musica a una perfezione che l’orecchio umano non può comprendere. Poco prima della visione di Dio, la mente di Dante è da una folgorazione tale che riesce ad appagare ogni suo intimo desiderio: «se non che la mia mente fu percossa/ da un fulgore in che sua voglia venne. /A l’alta fantasia qui mancò possa; /ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, /sì come rota ch’igualmente è mossa, /l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, vv. 140-145).
Pubblicato da Mercurio Saraceni
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