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giovedì 11 febbraio 2021

L'anima di Dante

L'anima di Dante 



 

 

 

 

 

 

   

 

di Gianni Oliva

da: "Vasto domani" giornale degli abruzzesi nel mondo - Anno LV N. 2 - Febbraio 2021


E' sotto gli occhi di tutti che l’anno dantesco, il 2021 (700 anni dalla morte di Dante), va a gonfie vele. Le manifestazioni erano già cominciate l’anno precedente con l’istituzione da parte del Ministero dei Beni culturali, nella persona dell’attivissimo ministro Franceschini, del Dante day, una ricorrenza fissa, come il giorno della memoria,  che ha indubbiamente il suo valore promozionale, anche per quei luoghi di interesse dantesco sparsi per tutta Italia (dalle nostre parti è toccato a Monteodorisio in quanto feudo appartenuto a Sordello da Goito, miles di Carlo I d’Angiò).  Ma dagli ultimi giorni dell’anno appena trascorso è andato man mano crescendo il clamore per la «riscoperta» (ahimé) di Dante nei salotti televisivi, ove si avvicendano giornalisti e dantisti dell’ultima ora con il loro libro sotto braccio da mostrare al pubblico. Si tratta nella maggior parte dei casi di profili e di ricostruzioni biografiche non sempre di prima mano allestite per l’occasione o di adattamenti della Commedia in forma di narrazione, come l’opera di Dante si risolvesse in un affascinante itinerario avventuroso nell’oltretomba, dagli Inferi «a riveder le stelle», magari alludendo alla pandemia in corso da cui tutti vorremmo uscire al più presto. Sono instant books, come vengono detti, libri destinati purtroppo a non lasciare traccia, adatti semmai a tamponare l’occasione della ricorrenza o a trasformarsi, nei casi peggiori, in regali di Natale, con soddisfazione degli editori e degli scaltri autori.

In ogni caso c’è da chiedersi se tutto ciò è un bene o un male. Direi che è comunque un bene se come conseguenza ha l’avvicinamento del grande pubblico alla poesia dantesca, o per lo meno di quello che non avrebbe mai pensato di leggere un libro su Dante, anche a rischio della estrema semplificazione e di una conoscenza approssimativa, se non distorta. Qualche anno fa venivano criticate dagli addetti ai lavori le istrioniche letture di Benigni ma, per quanto mi riguarda, ho sempre ritenuto che per la divulgazione di Dante hanno fatto molto di più quelle performances di quanto non siano state efficaci le pur prestigiose (anche se a volte noiose) lecturae Dantis delle accademie (nelle quali riconosco di essere stato molte volte coinvolto di persona).

La situazione attuale non è nuova. Cento anni fa, nel 1921, altro anno deputato per il centenario dantesco, Giovanni Papini, in un libro intitolato Dante vivo, non si faceva scrupoli di prendere di mira i dantisti, i dantomani, gli sterili chiosatori del poema (Marinetti a sua volta parlava di un «verminaio di glossatori»), i quali, presi dalle loro minuzie interpretative (le cosiddette cruces dantesche), erano accusati di perdere di vista l’anima di Dante, insomma, la sostanza profonda del suo messaggio.

Il dantismo celebrativo di oggi rischia di sortire forse gli stessi effetti perché il tema primario sembra essere quello dell’attualità del grande poeta. Ci si chiede sempre: ma Dante è attuale? Come se gli autori possono essere scelti in base al tasso di attualità della loro opera ignorando la connessione stretta con il loro tempo. Certo, come tutti i grandi classici, Dante contiene messaggi che riguardano il comportamento degli uomini e per questo è come Omero, come Shakespeare, autori in cui si riflettono le verità universali. 


Attenzione però. Alcune di queste verità, indubbiamente le più importanti, sono di natura spirituale e dunque connesse con un sapere teologico profondissimo e complicato con cui oggi si è persa dimestichezza. Va detto a scanso di equivoci che Dante è un poeta difficile e come tale richiede rispetto. Un’epoca utilitaristica come la nostra, fondata sul tessuto finanziario e sull’economia, quindi fondamentalmente laica, può recepire senza difficoltà un discorso «anagogico» che prevede il ricongiungimento della creatura con il Creatore? Il viaggio di Dante non è un’escursione più o meno avventurosa nei regni dell’oltremondo, tra diavoli e gerarchie angeliche, in compagnia di personaggi alcuni dei quali indimenticabili protagonisti del suo universo. Affermare questo significa ignorare il realismo figurale, il significato delle scritture su cui Dante tanto insiste. L’anagogia nel suo significato etimologico (dal greco anagoghè), ossia viaggio dal tempo all’eterno indica il fine ultimo dell’uomo che, in quanto creatura, tende a ricongiungersi con il creatore. L’epoca attuale ricava da Dante quello che vuole e che più gli aggrada (Quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur = Qualunque cosa venga ricevuta, viene ricevuta secondo le possibilità di chi la riceve), senza curarsi molto della verità sostanziale.

Si vuol dire  che i problemi che Dante pone sono molto più complessi di quello che sembra;  sono molto più lontani dalle posizioni morali che convengono alla società evoluta dei tempi nostri. Il mondo dantesco, a livello politico, ideologico, culturale, è ben altro dal nostro e penetrarvi per conoscerlo richiede pazienza, attitudine all’ascolto e allo studio. Tutto si può fare e, volendo, anche senza essere degli specialisti, è possibile affrontare lo studio di Dante con cognizione di causa, rimuovendo però atteggiamenti frettolosi e superficiali. Magari un corso di lezioni tenute a un pubblico volenteroso (e davvero curioso) forse sortirebbe migliore effetto, qualora, al di là delle convenienze, si insistesse su un  principio fondamentale:  che  la Commedia- ripetiamo- non è uno svago ma è la coscienza e la consonanza della sorte umana, è il poema che ricorda agli uomini che la vita è assidua meditazione della morte e infinita malinconia di beni sperati e smarriti, prova incessante di passione e di pentimento, di violenze e rinunce, di verità e d’ignoranza.


Pubblicato da Mercurio Saraceni

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