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domenica 23 maggio 2021

Raffaele Mattioli - 2/5

 

(Raffaele Mattioli)


Raffaele Mattioli. Banchiere - Umanista - Uomo 

di Renata D'Ardes

(continua dall'articolo precedente)



Alla Bocconi, furono suoi colleghi ed amici Nino Levi e Carlo Rosselli. E fu proprio Angelo Sraffa, emi­nente giurista, fondatore del moderno diritto commer­ciale italiano, docente e poi rettore della Bocconi, a incaricare Mattioli del riordino e dell'arricchimento della biblioteca dell’ateneo, forse avendo già ravvisato in lui «la capacità e il fiuto della classificazione, l’istinto dello scaffale», che lo faceva tanto somigliare a Benedetto Croce, come sosteneva Titta Rosa.

(Carlo Rosselli)

Nel 1922 Mattioli concorse al posto di Segretario Generale della Camera di Commercio di Milano, con il grado più alto nella gerarchia del personale interno di quest’ente.

Riccardo Bacchelli raccontò che: «...vinto il concor­so brillantemente, tardavano a convocarlo e insediarlo. Sospettando una manovra defatigante, Mattioli s’inse­diò da sé; aveva sul tavolo file di pulsanti di campanelli elettrici dei vari uffici, li pulsò tutti e cominciò così a farsi conoscere dai più o meno autorevoli e stupefatti funzionari e impiegati... ».

(Riccardo Bacchelli)

Il periodo trascorso alla Camera di Commercio fu considerato alla stregua di una prova generale dei ben più gravosi impegni che gli sarebbero toccati in banca e del modo in cui li avrebbe affrontati. Presso tale sede si trovò a gestire i finanziamenti a favore d'istituzioni uni­versitarie e a concepire iniziative di ricerca economica, stimolando la cooperazione di enti diversi; partecipò all’elaborazione del progetto di riforma della Borsa e maturò la sua prima esperienza come organizzatore delle attività d’ufficio, redigendo il regolamento generale della Camera di Commercio di Milano. Sarebbe stato ricordato dai suoi collaboratori, dopo aver lasciato la segreteria della Camera di Commercio, per la sua gran­de capacità di lavorare e far lavorare gli altri, di non lasciare mai irrisolta una questione piccola o grande che fosse, di non enfatizzare ogni cosa, potendo e dovendo rientrare -era solito dire- nella strada maestra della nor­malità.

Nel 1925, prima della scadenza del mandato camera­le, Mattioli ricevette la conferma del nuovo incarico presso la Banca Commerciale Italiana, come «capo di gabinetto» dell'amministratore delegato Giuseppe Toeplitz e con il grado di condirettore, indubbiamente un ottimo livello di partenza per un neo-assunto. Questa nevralgica mansione gli dava la prospettiva di una carriera rapida, come avvenne per tutti e quattro i segretari di Toeplitz: Alessandro Joel, Enrico Marchesano, Raffaele Mattioli e Giovanni Malagodi.



(Giuseppe Toeplitz)

Mattioli, ferratissimo in materia scientifica, tecnica e organizzativa, aveva esperienza di lavoro direttivo e si era cimentato in diversi tipi di scrittura, dalla prosa econo­mica alle relazioni per la Camera, a progetti ed esposti di politica economica alle autorità; era provvisto di un’ampia rete di conoscenze personali, sia negli ambien­ti degli affari, sia nell’amministrazione statale e cittadi­na, sia tra gli economisti.

Data la posizione di segretario personale di Toeplitz, il lavoro di Mattioli non concerneva un particolare aspetto o settore dell’attività bancaria, ma si trovò a spa­ziare su tutte le politiche e le pratiche di vertice dell’istituto, talvolta sotto la forma di incarichi «specia­li» conferitigli fiduciariamente da Toeplitz a seconda delle necessità.

Nelle relazioni annuali che redigeva, si identificò chiaramente il forte influsso di Attilio Cabiati, da uno stile molto conciso si passò a una scrittura sinuosa, ricca di aggettivazioni, talvolta allusiva; vi compare un tipo di ragionamento, un modo di condurre le analisi e le valu­tazioni della situazione generale più da economista che da operatore, affiorando timidamente un ruolo preposi­tivo nelle politiche bancarie. Il modello al quale Mattioli poteva fare ideale riferimento era quello delle relazioni di alcune banche inglesi e americane che varie volte aveva riassunto e tradotto per la «Rivista Bancaria».


(Rivista Bancaria)


(Attilio Cabiati)

Con l’assunzione di Mattioli, Toeplitz e la Comit compirono una scelta di cultura economica molto avan­zata; la BCI era al culmine della sua espansione, ma anche alla vigilia dello scivolamento sulla china che l’avrebbe portata a quella crisi da cui sarebbe uscita profondamente rinnovata, proprio sotto la guida di Mattioli. Il decollo industriale dell’Italia fu indissolubil­mente legato a loro; il che non significa che si sostituis­sero agli imprenditori nella fondazione delle industrie, ma li agevolarono straordinariamente, con metodi con­soni ai rispettivi periodi.

Affiancò Toeplitz soprattutto nelle trattative con i banchieri americani. Dei prestiti esteri egli fu in grado di cogliere sia la funzione di sollievo finanziario imme­diato, sia le ripercussioni sulla situazione monetaria, sia il contributo che potevano dare a una trasformazione strutturale del mercato finanziario in Italia.

Dell’incontro di Mattioli con Toeplitz, Malagodi disse: «Vide per la prima volta, lui molto giovane e sen­sibile ai valori umani, un uomo d'azione in azione in un posto di grande responsabilità e complessità, che abbracciava la banca, le industrie, il mercato italiano, la vita internazionale, le affiliate estere. Si affezionò al "Commendatore”, lo servì con grande fedeltà e crescen­te efficacia, prendendo su di sé un peso sempre maggio­re di iniziative e responsabilità. Ammirò nel suo Capo l'impeto vitale, la capacità di lavoro, la libertà dei pregiudizi correnti del mestiere. Ma quando, tra il 1930 e il 1931, si accentuarono le difficoltà della Comit e si incominciò a intravederne prossimo il disastro e a com­prendere quanto esso fosse dovuto a cattiva conduzione, Mattioli non esitò a pronunciare un giudizio limitativo sulle qualità del Padrone come “grande banchiere”».

(Mattioli e Malagodi, 1934, foto A. Gerbi, Progetto Cultura Intesa SanPaolo)
Si vissero momenti drammatici, la tesoreria spesso si trovò sull’orlo della catastrofe. Una sera del 1932, Michelangelo Facconi, direttore centrale, responsabile della Tesoreria, entrò nell’ufficio di Toeplitz -presenti Mattioli e Malagodi- dicendo che in cassa non c’era più nulla e, se la banca doveva chiudere gli sportelli, era necessario dirlo ventiquattro ore prima per «poter pren­dete le misure tecniche necessarie». Ci furono veri momenti di panico, silenzi pesantissimi. Gli sportelli rimasero aperti. Dopo qualche giorno, in cassa c’erano solo 300.000 mila lire. La situazione era abbastanza grave. Mattioli non si perse d’animo: voleva assolutamente rassicurare gli eventuali depositanti, per cui indossò lo smoking e andò alla Scala, seduto nel suo palco, apparentemente tranquillo, tranquillizzando tutti o quasi tutti i presenti; assaporava talmente il bel canto e la squisita arte dell'orchestra, che aveva dimenticato ogni preoccupazione.
Sarebbero occorsi tempo, fatica, fantasia e un po’ di fortuna per superare questi momenti: Toeplitz e Mattioli misero insieme tutti questi ingredienti «conti­nuando a fare la banca», pur tra difficoltà esterne ed interne. Mattioli riuscì a portare la Comit fuori dalla crisi, sperimentando, dal suo incarico di capo della segreteria, il funzionamento di quella «potente invenzio­ne» che è stata la banca mista; le banche fecero affluire alle imprese industriali nascenti o in espansione, non soltanto capitali, ma anche, in notevole misura, direzio­ne imprenditoriale. Toeplitz tentava di portare la Comit a diventare una banca d’affari, Mattioli avrebbe voluto riportarla ad una più normale, quanto solida, attività di credito. Toeplitz era per il liberalismo sfrenato e totale, Mattioli si rendeva conto dell’indispensabilità dell’inter­vento dello Stato nell’economia.

Mattioli fu l’unico banchiere ad avere in mente un modello di finanza legato al potere politico di turno, restando però sempre superiore ad esso. Ben altra visio­ne rispetto a quella della Mediobanca di Enrico Cuccia, dove gli interessi delle grandi famiglie del capitalismo prevalsero su tutto.

(Enrico Cuccia)

Mattioli fu chiamato il banchiere eretico per il suo totale distacco dal potere del Vaticano e dagli affari di Chiesa, anche se lo stesso Vaticano in più occasioni finanziò la Comit. Fu un uomo profondamente laico, il quale, pur non disdegnando talvolta battute anticlerica­li, magari per gusto del paradosso, nutriva un sincero rispetto per ogni fede religiosa e per le relative istituzio­ni. Inoltre, aveva una sorta d’inclinazione sentimentale per i fatti tradizionali del nostro Paese, e, quindi, per il rituale religioso. Questo spiega i rapporti amichevoli da lui mantenuti con vari esponenti del mondo cattolico, da Giovanni Battista Montini a Bernardino Nogara, da Don Giuseppe De Luca ai monaci di Chiaravalle, dove fu sepolto nel 1973.

(continua)


Pubblicato da Mercurio Saraceni